Intesa sul lavoro pubblico, arriva l’ok delle Regioni. Dopo la definizione dell’accordo e in attesa che il testo passi al vaglio del Consiglio dei Ministri, anche la Conferenza delle Regioni ha ufficializzato il sì al documento su cui sarà calcata la legge delega per rivedere la normativa sul pubblico impiego. E intanto impazza il dibattito sulla stampa. A colpi di commento. Ministro contro ex-ministro, economisti contro esperti, osservatori di ogni ordine e grado e chi più ne ha più ne metta. Con molte imprecisioni.
Per questo, con riferimento ad alcuni articoli apparsi in questi giorni sui mezzi di comunicazione, è bene fare chiarezza. Con la forza degli argomenti: tre premesse e tre punti di merito.
Le premesse:
1. Parlare di riforma e di controriforma non ha senso. Rispetto al 2009, quando è stato approvato il d.lgs. 150 (la cosiddetta “Brunetta”) troppe cose sono cambiate. I contratti, per dirne una, che avrebbero dovuto attivare i meccanismi premiali sono stati bloccati per legge. Mentre elementi nuovi hanno fatto ingresso sulla scena. La crisi finanziaria e l’esigenza di risanare i bilanci pubblici a tempo di record hanno imposto le priorità: riorganizzazione, razionalizzazione, spending review, accorpamento di enti e relativa gestione delle mobilità. L’Intesa è in questo senso lo strumento per fare innovazione nel pubblico impiego, nelle nuove condizioni del Paese.
2. L’Intesa non è un documento politico, ma indica misure operative. Per quanto sia il prodotto di un accordo estremamente ampio che coinvolge per la prima volta anche le Regioni e le Autonomie locali, l’Intesa contiene indicazioni puntuali sugli aspetti normativi che devono essere modificati. Ora è compito del governo individuare i criteri di delega per la definizione della nuova normativa.
3. L’Intesa è frutto di un confronto e apre la riflessione. Il disegno di legge delega che sarà messo a punto sulla base dell’accordo, passerà poi all’esame del Parlamento: è lì che si svolgerà il dibattito tra le forze politiche e il confronto con le istanze della società mediate dalla politica (tra cui i consumatori).
Detto questo, per rispondere a chi alzando un po’ troppo i toni ha riproposto giudizi allarmati, veniamo ai punti di merito:
1. Obiettivi e valutazione. La amministrazioni pubbliche, già con la normativa attuale, dovrebbero darsi i cosiddetti obiettivi “smart” (specific, measurable, achievable, realistic, timely, vale a dire specifici, misurabili,raggiungibili, realistici, limitati nel tempo). L’Intesa su questo punto condivide e conferma le previsioni vigenti. Così come condivide e conferma anche il meccanismo sanzionatorio in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi. Non ci sono sconti, ma più attenzione rispetto al livello dei servizi erogati al cittadino. L’Intesa, infatti, specifica con più forza che la produttività individuale non si può realizzare senza prima approfondire la performance organizzativa (a cui – dice il documento – deve essere “assegnato un ruolo più significativo”): cioè senza prima valutare la qualità della risposta ai bisogni delle persone e delle imprese. E in nessuna piega dell’Intesa è scritto che non si potranno prevedere nella legge delega strumenti premiali selettivi.
2. Mobilità. Nella nuova situazione, dovrà essere rivista la disciplina riguardante mobilità ed esuberi. L’Intesa in questo senso cerca di uniformare il pubblico al privato. Attualmente l’art. 33 del d.lgs. 165/01 non prevede per il pubblico impiego né i criteri di scelta né l’esame con le organizzazioni sindacali. Aspetti contemplati invece dalla normativa privatistica e in procinto di essere rafforzati, tanto è vero che il ddl “Fornero” introduce l’esame con i rappresentati del sindacato anche nel caso di licenziamento di un singolo lavoratore. Nel pubblico la disciplina attende di essere modificata per assicurare la trasparenza ed evitare ogni possibile abuso.
3. Licenziamenti. Va ribadito che, sul punto, la normativa legislativa e contrattuale del settore pubblico è più incisiva rispetto a quella del privato. Il vero problema è che la dirigenza in molti casi non si preoccupa di motivare adeguatamente le ragioni dell’eventuale licenziamento. Mentre è comprensibile che sia previsto il danno erariale in caso di licenziamento immotivato: la Pa in questo caso subisce infatti il danno economico corrispondente al costo del concorso indetto per rimpiazzare il lavoratore illegittimamente licenziato.
In conclusione è bene rimarcare che l’Intesa apre un percorso di innovazione normativa che passa, oltre che per il confronto con i governi nazionale e locali, anche per il Parlamento. E che è auspicabile che tutte le buone intenzioni riformiste si concentrino sulle ragioni che impongono la revisione delle norme. Cioè una disciplina non più corrispondente ad una situazione oggettiva che vede il blocco dei ccnl e la possibilità di ottenere incrementi retributivi affidata ai piani di razionalizzazione. Vale a dire ai risparmi di spesa da distribuire attraverso la contrattazione integrativa, così come disposto da una legge approvata dal precedente governo (d.l. 98/2011, art. 16).
Si impone, quindi, un’esigenza di corresponsabilizzazione generale che richiede un maggior coinvolgimento dei lavoratori pubblici attraverso le loro rappresentanze: per rilanciare i servizi pubblici e per redistribuire i vantaggi dei risultati raggiunti.
Raffaele Bonanni
Segretario Generale Cisl
Il Sole 24 Ore 11 maggio 2012 Intervista P.Griffi |
Il Sole 24 h - 11 maggio 2012 Bonanni |