La sentenza della Corte costituzionale (178/2015) che ha dichiarato illegittimo il blocco dei contratti pubblici ha segnato un punto decisivo a favore dei nostri diritti e ha sollevato le giuste attese nostre e dei nostri colleghi. Attese e diritti che, a partire da quello al rinnovo dei Ccnl, vanno ora fatte valere al tavolo negoziale.
Nuovi ricorsi legali come quelli presentati da alcune organizzazioni – e in particolare quelli rivolti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) - rischiano infatti di sviare l’attenzione dalla vera priorità: aprire subito il confronto sui rinnovi con il Governo.
Vediamo perché.
La sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del blocco, ma solo a far data dalla pubblicazione della sentenza (luglio 2015): non obbliga a versare gli arretrati, ma solo a sbloccare gli scatti, ed impone alla parte pubblica di tornare al tavolo delle trattative con i sindacati.
Il Tribunale di Reggio Emilia, a febbraio 2016, ha dichiarato l’illegittimità dei mancati rinnovi dopo il 30 luglio 2015 (cioè per il periodo successivo alla sentenza della Consulta), ma ha escluso qualsiasi effetto risarcitorio (cioè il danno da “mancata negoziazione” che si vorrebbe riconosciuto dalla Cedu), condannando l’amministrazione inadempiente al solo pagamento delle spese legali.
Il ricorso alla Cedu può essere accolto solo dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne (cioè in Italia) ed entro un periodo di sei mesi dalla decisione interna definitiva: ma al momento le azioni legali in Italia sono ferme al primo grado di giudizio e il governo potrà ben sollevare l’eccezione di mancato esaurimento dei ricorsi interni.
Anche nel caso in cui la Cedu dichiarasse ricevibile il ricorso e si pronunciasse in favore dei ricorrenti, l’obbligo di conformarsi alla sentenza così come la relativa scelta dei mezzi e delle modalità ricadrebbe sullo Stato italiano. Sarebbe quindi di nuovo il governo a dover provvedere e non la Corte ad accordare ai ricorrenti un risarcimento monetario.
In quel caso sarà il legislatore italiano a doversi fare parte attiva mediante un intervento di tipo normativo secondo i modi ed i tempi che riterrà opportuni; in caso di inerzia, per ottenere l’esecuzione della sentenza europea, dovranno essere attivate singole azioni giudiziarie dinanzi ai tribunali italiani.
E’ dunque evidente come la strada del ricorso alla Cedu appaia impervia, con tempi indefinibili e risultati incerti. La via maestra per risolvere compiutamente la questione pertanto rimane quella di riaprire la trattativa con il Governo italiano sul rinnovo dei contratti collettivi nazionali e MOBILITARCI PER AVERE RISPOSTE CERTE SULLE RISORSE NECESSARIE A RINNOVARE IL CONTRATTO.